by Andrea Melatti Andrea Melatti

Può un rifiuto cessare di essere tale?

Sì, quando “è stato sottoposto a un’operazione di recupero”.

Una simile disposizione è disposta dalla legge nell’articolo 184-ter nel Dlgs 152 del 2006 come modificato dal Dlgs 205/2010, recependo così la direttiva 2008/98/CE.

In relazione alla direttiva europea, c’è da dire che le attività di trattamento (art 6), sono sottoposte alle procedure semplificate disciplinate dall’articolo 214, a condizione però che siano rispettati tutti i requisiti, i criteri e le prescrizioni soggettive e oggettive previsti dai predetti regolamenti, con particolare riferimento:

  • alla qualità e alle caratteristiche dei rifiuti da trattare;
  • alle condizioni specifiche che devono essere rispettate nello svolgimento delle attività;
  • alle prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano trattati senza pericolo per la salute dell’uomo, e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, con specifico riferimento agli obblighi minimi di monitoraggio;
  • alla destinazione dei rifiuti che cessano di essere considerati rifiuti agli utilizzi individuati.

Ma può un ente diverso dalla Stato stabilire quando un rifiuto può essere tale?

Interessante domanda, alla quale ha dato risposta il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1229 del 28 febbraio 2018, quando:

“Il Giudice di appello veniva chiamato a valutare il caso di un’impresa. Essa era già stata autorizzata ad una attività sperimentale per il trattamento ed il recupero dei rifiuti costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni. Successivamente la Giunta regionale Veneto ha poi respinto la richiesta di qualificare le attività svolte nel proprio impianto industriale come attività di recupero “R3”, poiché, per tali materiali, la normativa comunitaria al momento non lo prevede.

Il giudice di primo grado (Tar Veneto, sentenza n. 1422 del 2016) aveva accolto il ricorso dell’impresa e conseguentemente annullato il diniego, ritenendo che in mancanza di espresse previsioni comunitarie, l’amministrazione potesse valutare caso per caso.” (cisambiente.it)

Il Consiglio di Stato ha invece stabilito che:

“La funzione della normativa nazionale è solamente sussidiaria rispetto a quella europea. Se quindi, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto è riservata alla normativa comunitaria, così formulando l’art 6, l’Unione ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione,

Peraltro, precisa il Consiglio di Stato, questo solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse.

In altri termini, il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la direttiva, solo lo Stato, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione.” (tuttoambiente.it)

La cessazione del rifiuto, per essere tale deve altresì soddisfare dei criteri specifici, da adottare nel rispetto di quattro condizioni, che sono state riprese fedelmente dalla direttiva comunitaria:

  1. la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
  2. esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  3. la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  4. l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Più che di cessazione di rifiuto, gli operatori del settore sentono più che altro parlare di “End of Waste”.

Non sai di cosa si tratta?

Tuttoambiente.it fa una sintesi molto esplicativa:

“si riferisce ad un processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto.

Per End of Waste si deve intendere, quindi, non il risultato finale, bensì il processo che, concretamente, permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto.”

In una materia così delicata e importante, non poteva non intervenire l’Unione europea che ha emanato 3 Regolamenti esecutivi:

  • R. Commissione Ue 715/2013/Ue Criteri per determinare quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti;
  • R. Commissione Ue 1179/2012/Ue Criteri per determinare quando i rottami vetrosi cessano di essere considerati rifiuti;
  • R. (UE) del Consiglio 31 marzo 2011, n. 333/2011 disciplina i criteri per stabilire quando i rottami di ferro, acciaio e alluminio, inclusi i rottami di leghe di alluminio, cessano di essere un rifiuto e diventano nuovamente un prodotto.

Per quanto riguarda il Regolamento 333/2011, la Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza n.43430 del 17 ottobre 2014 (terza sezione penale). Secondo la Suprema Corte alcuni tipi di rottami metallici possono cessare di essere considerati rifiuti, non solo in base alla loro natura, alla loro consistenza e ai trattamenti che subiscono sul luogo di produzione (tutti requisiti che comunque devono essere accertati e certificati), ma anche per effetto del rispetto delle specifiche prescrizioni (in materia di formulari, ecc.) e del positivo esito delle procedure preliminari delineate dalla normativa comunitaria.

La Cassazione ha così confermato la condanna per gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi (reato di cui all’articolo 256, Dlgs 152/2006 cosiddetto testo unico sull’ambiente) nei confronti di un’impresa che aveva accumulato sul proprio piazzale, in maniera incontrollata, oltre 700 mc di rottami metallici.

Come puoi vedere il tema dei rifiuti è un tema delicato che richiede conoscenza di norme e certificazioni di qualità…

….che noi di New Edy possediamo, insieme alle competenze per trattare il ferro e smaltire rifiuti pericolosi e non.

Ma non siamo solo questo…

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